Venerdì 9 marzo 2018, dalle 18.30 alle 21.30, presso la Galleria del Museo d’Arte Urbana, via Rocciamelone 7 c Torino, si inaugura la personale di Eugenio Sinatra “Femminino a perdere”, a cura di Daniele D’Antonio e Edoardo Di Mauro
Fino al 5 aprile, lunedì 17-19 o su appuntamento
Info : 335 6398351 info@museoarteurbana.it www.museoarteurbana.it
Sostenitori istituzionali : Regione Piemonte, Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT
Sponsor tecnici : OIKOS Colore e Materia per l’Architettura, Fiammengo Federico srl
Partner : Associazione Tribù del Badnight Cafè/Cabina dell’Arte Diffusa, Officine Brand www.officinebrand.it, Galleria Campidoglio www.galleriacampidoglio.it

La mostra di Eugenio Sinatra FEMMININO A PERDERE, è un progetto che aggrega due temi cari all’autore: il primo, “donna libera nel tempo e nello spazio”, caratterizzata da nudi femminili ripresi in movimento, in studio, con tempi fotograficamente molto lunghi. E’ un soggetto che compare costantemente nei lavori di Sinatra, variamente declinato, ma sistematicamente proposto, a caratterizzarne la sua cifra fotografica.

Il secondo, “contro la violenza sulle donne”, sempre nudi femminili, sempre ritratti in studio, è la volontà dell’autore di avvicinarsi / avvicinare sé stesso e le sue modelle ad una rappresentazione della violenza di genere (nello specifico la violenza sulle donne) che, partendo da un approccio artistico, non di reportage, di drammatizzazione estetica fatta di simbolismi e mimica, considerasse la traccia indelebile, quand’anche interiorizzata, che segna la vittima della violenza stessa, il proprio bagaglio interiore.

Nasce così l’idea di unire le due collezioni, apparentemente così differenti tra loro, in un unico progetto concettuale che, pur avendo sempre l’immagine femminile come tema centrale, valorizzasse da un lato la ricerca di Eugenio Sinatra, dall’altro aggiungesse corpo e significato al suo particolarissimo modo di ritrarre e di proporre in stampa, in fase successiva, il nudo femminile.
Si è voluto intendere, nella costruzione della mostra, l’elemento immaginario del femminino, inteso come nella citazione di Goethe, attraverso il movimento: la rappresentazione codificata secondo i canoni classici della Bellezza viene ritratta con l’effetto del mosso spinto agli estremi, dove i tratti del nudo femminile, simbolo di perfezione estetica, diventano confusi, evanescenti, ricomponibili esclusivamente attraverso l’immaginario individuale dell’osservatore.

E’, appunto, il femminino, che ci spinge a rincorrerlo e che, Goethe docet, ci porta verso l’alto.
Sul verso opposto, la drammatizzazione teatrale della violenza, non nel momento in cui avviene, ma prima che accada o successivamente a questa. Immagini statiche, perfettamente definite, queste. La bellezza, o ciò che ne rimane dopo esserne stata spiritualmente e fisicamente violata, è rappresentata come una interruzione, una cesura del “volo” immaginario, immaginato: è l’uscita dal pensiero idealizzato ed è l’ingresso nel reale, terreno, materiale nella sua accezione più cruda e brutale.
E’ qui che il femminino, romanticamente inteso, viene fermato nel suo moto verso l’alto, e con esso il nostro moto a seguire. E’ qui che il materialismo si esprime come antitesi della Bellezza.
Ed è sempre qui che Eugenio Sinatra, in un gioco antinomico di grande destrezza, continua ad utilizzare nella sua narrazione il nudo femminile come antitesi a ciò che rappresenta, descrivendo l’annientamento e l’arresto del sacro attraverso l’esercizio della violenza.

Le immagini della mostra, come tutta la produzione fotografica di Eugenio Sinatra, vengono proposte stampate su carta per artisti con il metodo della cianotipia che si basa sull’uso di sali di ferro che, in soluzione, sono sensibili alla luce ultravioletta e determinano la creazione dell’immagine. Si tratta di una tecnica di stampa oggi definita alternativa, nata a meta’ del’19° secolo.

La stampa che si ottiene ha il colore del blu di prussia, e puo’ essere intonata con il caffe’ e/o con l’acido tannico, nell’ambito di un flusso di lavoro che fornisce ampio spazio alla creativita’ e rasenta l’alchimia.

Questo, insieme ad altri “antichi metodi”, basati sull’utilizzo di sostanze reagenti alla luce in maniera differente tra loro, fu particolarmente sviluppato a cavallo del ‘900 da chi, occupandosi di fotografia, aderì a quella sorta di movimento artistico definito come Pittorialismo che ebbe in Domenico Riccardo Peretti Griva uno dei più grandi cultori italiani, e del quale, proprio a Torino, nella primavera del 2017 è stata organizzata una corposissima mostra all’interno del Museo del Cinema alla Mole Antonelliana.

Daniele D’Antonio

Il concetto e la pratica della rappresentazione artistica intesa come mimesi naturalistica ed il conseguente predominio della pittura entrano in crisi proprio dall’avvento della fotografia nella prima metà dell’ 800, estrema e conclusiva propaggine della modernità.

Inizia da allora, e prosegue lungo il crinale novecentesco, quello che alcuni teorici definirono un vero e proprio “combattimento per un’immagine”, una tenzone tesa a stabilire il dominio sulla riproduzione del reale, con gli Impressionisti primi a scendere massicciamente in campo pronti a sfidare la tecnica fotografica nell’impari cimento della rappresentazione naturalistica.

In realtà si tratta di un combattimento privo di senso e teso, semmai, a raggiungere un pareggio, una sostanziale pacificazione, come appare evidente analizzando le vicende storiche del Novecento, i cui effetti si prolungano ad occupare anche la prima parte di questo nuovo millennio. Come sostenuto da uno dei più preparati storici italiani della fotografia, Claudio Marra, con una tesi che mi sento di condividere, in realtà solo in parte la fotografia è stata un prolungamento della pittura con altri mezzi, più semplici ed immediati, al punto, in certi casi, da non richiedere neppure una particolare preparazione e professionalità nell’uso dello strumento, adoperato come una vera e propria protesi. In realtà la fotografia è dotata di uno statuto linguistico proprio e di un diverso livello referenziale nella rappresentazione della realtà, tali da apparentarla, semmai, alle modalità “extra – artistiche” introdotte nella teoria delle avanguardie storiche e portate a piena diffusione tra gli anni ’50 e ‘ 70 del secolo scorso, con la fuoriuscita dell’arte dal tradizionale alveo bidimensionale tipico della pittura per procedere verso una volontà di contaminazione con l’ambiente esterno inteso come piena omologia con il mondo, nel perseguimento di una esperienza estetica, quindi polisensoriale, totalizzante.

La fotografia, dalla fine degli anni Settanta, si è avvalsa della disinibizione formale cifra stilistica del postmoderno per riversarsi massiccia nel panorama eclettico della contemporaneità privilegiando la funzione piuttosto che l’oggetto e diventando, negli anni ’80 ma ancora di più nel decennio successivo, la dimensione narrativa maggioritaria, in compagnia di quello che è stato il suo primo derivato tecnologico, il video. L’atteggiamento si è manifestato nella duplice accezione di una partecipazione “fredda”, tendente a privilegiare una classificazione impersonale ed asettica dell’esistente e della banalità quotidiana, ed un’altra dimensione “calda”, “psicologica”, in cui gli artisti hanno adoperato il mezzo come estensione del proprio io, per calarsi nel reale con atteggiamento di affettuosa partecipazione.

Un artista come Eugenio Sinatra ha evidentemente riflettuto a lungo sulla storia, la specificità, e le tecniche della fotografia, non tralasciando il controverso rapporto con la pittura.

Autore da sempre impegnato sui temi del sociale e della memoria storica dei territori, Sinatra propone, per questa sua personale torinese presso i locali della Galleria del Museo d’Arte Urbana, una selezione di fotografie che uniscono elettivamente due suoi filoni di ricerca, quelli centrati su “donna libera nel tempo e nello spazio”, e su “contro la violenza sulle donne”.

Titolo della mostra “Femminino a perdere”, ispirato al concetto di “qualità femminile” definito da Goethe in Faust, relativamente al personaggio di Margherita, che delinea l’archetipo di femminile profondo, di connotati di amore totale e di spinta all’elevazione, eterno patrimonio della donna.

La perdita è invece individuabile nella violenza e nella mercificazione del corpo femminile, non che nello svilimento delle sue irripetibili qualità intellettuali.

Per parlare di temi di così stringente attualità Sinatra, come è proprio al suo stile, non si appiattisce sul dato del reale, ma lo sublima con procedimento simbolico, riuscendo ad imprimere al suo messaggio una forza maggiore, in quanto in grado di scuotere non solo i sensi, ma anche la mente degli spettatori.

Sinatra adopera la fotografia analogica, con tempi molto lunghi di posa, impiegando lo storico procedimento di stampa detto “cianotipia”, basata sull’uso di sostanze reagenti alla luce, insieme ad altri metodi base del cosiddetto Pittorialismo, movimento che, nel primo Novecento, con risultati non privi di qualità, cercò di gettare un ponte tra pittura e fotografia.

Corpi femminili di modelle in posa vengono ritratte apparentemente secondo i canoni del Bello, contraddetto, però, dal dinamismo delle rappresentazioni, che presentano margini sfocati e non facilmente percepibili.

La dimensione dell’eterno Femminino in questo caso allude alla possibilità della caduta, causata dalla violenza e dalla prevaricazione, non indicate direttamente, ma lasciate intuire dalla voluta non compiutezza delle immagini, proposte in una dimensione di apparente movimento, ma anche di sospensione temporale.

Edoardo Di Mauro

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Alla Galleria del Museo d’Arte Urbana Eugenio Sinatra “Femminino a perdere”

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