Guardando una pianta di Torino del 1914, anno in cui la vecchia cinta daziaria del 1853 è ormai scomparsa, si può vedere che la piazza Bernini, ancora indicata come Barriera di Francia, mantiene i due vecchi casotti del dazio, che il corso Tassoni sui due lati è ancora fiancheggiato da prati e, soprattutto, che permane la secolare cascina di San Paolo, circondata da una ampia zona agricola a forma di poligono quadrangolare delimitato dal corso Tassoni e dalle vie Nicola Fabrizi, Rosta e Giacomo Medici.
Si accede alla cascina da una stradina che parte dal corso Francia, grosso modo parallela al corso Tassoni. Questo vasto appezzamento di terreno municipale, che misura circa 70 mila metri quadri di superficie, è destinato a scomparire. Si era pensato di farne la sede dell’Accademia Militare ma il progetto era stato abbandonato.
All’inizio degli anni Trenta, a Torino si compiono molti lavori di abbellimento della città. Nella zona di corso Francia si sta completando la piazza Bernini. Sono abbattuti i due vetusti casotti del dazio che fino al 1929 hanno ospitato i vigili urbani ed alcuni inquilini e, nella piazza così ottenuta, sono stati sistemate sei aiole. Si intende ottenere un nuovo asse viario diritto da via Duchessa Jolanda e dall’altro lato prolungando la via Giacomo Medici fino al corso Lecce, collegandolo così fino alla ferrovia di Porta Susa.
La parte campestre della cascina San Paolo è ancora coltivata a grano. Il raccolto è danneggiato dalle torme di bambini che ci scorazzano per gioco. In estate, il grano alto diventa rifugio serale di moltissime coppie di contrabbando che non esitano a inoltrarsi fra le spighe per “compiervi esercizi non perfettamente spirituali”, come ironizza un cronista dell’epoca.
Il Municipio di Torino usa la spianata della cascina di San Paolo per posteggiare i carri della nettezza urbana. La cascina, in passato usata per alloggiare i senza tetto ed ora piena di topi, impedisce la costruzione delle nuove vie in direzione di piazza Risorgimento, dove si trovano le abitazioni della Borgata Campidoglio. Oltre la spianata, si trova la via Rosta dove, all’angolo di via Bianzè, sorgono i caseggiati che costituiscono le case degli impiegati municipali.
Le demolizioni iniziano nel gennaio del 1931.
Fin dal 1929 l’architetto Costantino Costantini ha progettato la Casa del Balilla con fronte su piazza Bernini, terminata nel 1931. Oggi ospita l’ISEF (Istituto Superiore Educazione Fisica) e il SUISM (Scuola Universitaria Interfacoltà in Scienze Motorie). Nelle immediate vicinanze, sul corso Tassoni al n. 15, è edificato il Liceo-Ginnasio Camillo Benso conte di Cavour, spostato dalla precedente, infelice, sede di via Piave dove era ospite del Collegio Nazionale. Sul restanti lotti del terreno vengono costruite abitazioni private.
A lavori conclusi, la zona ottenuta dalla spianata della cascina di San Paolo risulta disposta come oggi ma con nomi diversi alle vie: oltre ai nomi di comuni del Piemonte, tradizionali per la restante Borgata Campidoglio, le vie di questa zona sono dedicate a quelli che al tempo sono definiti “martiri fascisti”.
La attuale via Cordero di Pamparato inizialmente è dedicata a Lucio Bazzani, nato a Viareggio, studente al Politecnico di Torino, ferito a morte il 17 dicembre 1922 in un agguato alla barriera di Nizza e successivamente a Gabriele Berutti, di Pinerolo, morto a 19 anni a Trieste, il 4 ottobre 1921, durante l’assalto alla Camera del Lavoro. Nella via, al civico 9, ha il suo studio l’architetto Carlo Mollino.
La attuale via Aldo Barbaro è dedicata a Aldo Campiglio, allievo sottufficiale del 3° Reggimento Alpini, ucciso, a 19 anni, il 7 luglio 1921 presso Brandizzo (Torino). Campiglio è stato massacrato a tradimento, a colpi di roncola, poi il suo cadavere è stato denudato e gettato in un canale.
Delle tre vie perpendicolari al corso Tassoni, due hanno nomi diversi dagli attuali: via Massimo Montano è dedicata a Luigi Scaraglio, studente ginnasiale torinese diciassettenne, legionario fiumano, ucciso a fucilate a Casale Monferrato il 6 marzo 1921 in un agguato di comunisti locali.
Il primo tratto di via Bianzè, fino a via Rosta, porta il nome di Amos Maramotti, studente di Reggio Emilia, ucciso da una fucilata il 5 aprile 1921, durante l’assalto alla Camera del Lavoro di Torino.
La terza via mantiene anche oggi il nome di Vincenzo Nazzaro, appartenente alla Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza, ucciso il 22 settembre 1920 a Torino in corso Regina Margherita all’altezza di via Napione, da un colpo di pistola sparatogli freddamente alla testa. Talora anche Vincenzo Nazzaro è stato sbrigativamente inserito fra i “martiri fascisti”.
Con la Liberazione, queste vie cambiano nome.
Via Scaraglio diventa via Massimo Montano, componente del primo Comitato Militare Regionale Piemontese, uno degli otto fucilato al Martinetto il 5 aprile 1944, Medaglia d’argento al Valor militare alla memoria. Via Aldo Campiglio diventa via Aldo Barbaro, nato a Catanzaro nel 1922, ufficiale e partigiano, fucilato a Coassolo Torinese il 21 aprile 1944 e Medaglia d’oro al Valor Militare alla memoria.
Via Gabriele Berutti diventa via Felice Cordero di Pamparato, noto col nome di battaglia di “Campana”, nato a Torino nel 1919, ufficiale e comandante partigiano, impiccato a Giaveno il 17 agosto 1944 e Medaglia d’oro al Valor militare alla memoria. Il suo nome di “Campana” è stato attribuito al palazzo che ospita la facoltà di matematica dell’Università di Torino.
Questo cambio di denominazione, preso con delibera 10 novembre 1945, ha reso la vita difficile ai biografi dell’architetto Carlo Mollino: alcuni signori hanno scritto che l’illustre architetto ha avuto il suo studio prima in via Berutti e successivamente in via Cordero di Pamparato, come se fossero due diverse sedi.
La sede delle SS in Corso Tassoni 4
Torino ai tempi delle SS
Sessant’ anni fa, alle sette di sera del 19 aprile 1945, il Cln piemontese, riunito in via Saccarelli, emanò l’ ordine di insurrezione generale. Di lì a pochi giorni, Torino sarebbe stata liberata. Ma come si era arrivati a quel momento? Come aveva vissuto la città dal pomeriggio del 10 settembre 1943, quando, come annotò Ada Gobetti nel suo diario, fra via Cernaia e corso Galileo Ferraris i torinesi videro “con occhi increduli, passare una fila di automobili tedesche”, segno tangibile dell’ occupazione? La Torino sotto il tallone di ferro nazifascista, la Torino dei bombardamenti alleati, degli scioperi operai, della deportazione nei lager, delle azioni dei partigiani e delle spietate rappresaglie da parte dei repubblichini e dei tedeschi, ma anche quella della vita quotidiana di migliaia di persone, viene ora rievocata da Repubblica attraverso una serie di articoli e di documenti inediti. Il primo è dedicato alla città vista con gli occhi degli occupanti: il comando militare delle forze germaniche. I tedeschi presero possesso dei punti strategici della città due giorni dopo l’ annuncio alla radio dell’ armistizio fra l’ Italia e gli angloamericani, che era stato firmato a Cassibile, in Sicilia, il 3 di settembre. La mattina di quel 10 settembre, in un affollato comizio tenutosi alla Camera del Lavoro, i rappresentati dei partiti antifascisti e dei lavoratori avevano chiesto invano la consegna delle armi per potere resistere. Alle cinque del pomeriggio, nell’ assenza assoluta delle autorità del governo badogliano, reparti della divisione SS-Leibstandarte “Adolf Hitler”, agli ordini del tenente colonnello Hugo Kraas, occuparono il palazzo degli Alti Comandi Militari di corso Oporto. La disposizione numero uno fu emanata il 14: con un manifesto bilingue, si ordinava ai operai di riprendere il lavoro. Il 18 si intimava ai militari sbandati di presentarsi ai comandi germanici. Il 21, in un nuovo proclama in italiano e in tedesco, si annunciava il blocco dei prezzi al livello dell’ 8 settembre e veniva proibita la vendita di tutti i prodotti in cuoio. Già il 22, in stridente concomitanza con la riapertura dei cinema e della stazione radio di Torino, cominciarono gli arresti: a finire in carcere tra i primi furono l’ avvocato Bruno Villabruna, podestà dal 18 agosto ’43, il questore Rendina, i commissari di pubblica sicurezza Ramella e Lutri, accusati di avere aiutato i nostri soldati alla macchia. Ma la città, nonostante tutto, non era pacificata affatto. Tanto che il 17 novembre si registrò uno sciopero nelle fabbriche, che costrinse i nazifascisti ad aumentare le paghe del 30 per cento. Presto ci furono altri scioperi. La situazione era talmente incandescente che, il 30 dello stesso mese, il generale delle SS Zimmermann venne inviato nell’ ex capitale sabauda con i pieni poteri. Giorno dopo giorno, tuttavia, Torino si andava nazificando. Il Militarkommandatur, il comando delle forze armate, s’ insediò in corso Oporto 33. Al numero 16 della stessa strada fu collocata la Gendarmeria. La polizia delle famigerate SS, comandata dal poi tristemente famoso capitano Alois Schmidt, si piazzò inizialmente all’ albergo Imperia e quindi all’ ex pensione Nazionale di via Roma, in cui sarebbero stati torturati e uccisi numerosi partigiani e civili. La geografia della città dei nazisti si completò con la sede del comando della Gendarmeria operativa delle SS in corso Tassoni 4, quelle della Propaganda Staffel in corso Moncalieri 56 e del comando di polizia SS pronto impiego in corso D’ Annunzio 70 (l’ attuale corso Francia). All’ albergo Principi di Piemonte, infine, trovò posto lo Standortkommandantur, mentre il consolato germanico fu ospitato in un palazzo di corso Vittorio Emanuele 76.
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/04/13/torino-ai-tempi-delle-ss.html
http://www.istoreto.it/torino38-45/nazionale.htm
http://www.giuliocesaro.it/pdf/storici/060_ss_italiane.pdf
http://pulcinella291.forumfree.it/?t=67883644
http://www.skyscrapercity.com/showthread.php?p=106844805