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Nena fu una delle tante staffette partigiane che svolsero la fondamentale funzione di collegamento fra i vari gruppi della resistenza. Viaggiava, sempre sola, tra Torino e Torre Pellice in Val Pellice, portando con sé documenti e comunicazioni da comando a comando, ogni viaggio compiuto con guardinga attenzione.
“Portavo le comunicazioni al comando di Torre Pellice. Noi eravamo della divisione GL, Giustizia e Libertà, poi c’erano anche i Garibaldini. Andavo il più delle volte in treno, qualche volta mi scarrozzavano in auto. Una volta sono stata fermata a Torino in corso Inghilterra, avevo i documenti falsi. Mi fermano e mi dicono ‘in alto le mani!’, ma io avevo una borsetta a portafoglio, si usavano così a quei tempi, e dico ‘eh, ma dove metto la borsetta?’. Me l’hanno strappata di mano, l’hanno aperta, io tremavo come una foglia per quanto cercassi di stare tranquilla. Per fortuna quella volta non avevo dei documenti dei partigiani. Il periodo partigiano è stato terribile. Dopo quella volta non mi hanno più fermata, anche se mi pedinavano sempre, mi tenevano sotto controllo, non mi mollavano. C’erano altre staffette come me, molte donne perché davamo meno nell’occhio. A Torre Pellice non è rimasto più nessuno, sono morti tutti tranne uno, l’ho sentito e vorrebbe venire a trovarmi.”
Il timore per la propria incolumità e quella delle persone care la faceva da padrone durante la guerra. Un paio di avvenimenti furono per Nena carichi di paura e di preoccupazione per la sorte dei congiunti, e allo stesso tempo uno di questi fatti le richiese un coraggio non da poco nel tentativo di salvare il nonno materno.
“Mio zio materno era partigiano ed era stato incarcerato alle Nuove di Torino. Una sera avevano messo una bomba in via Cibrario angolo piazza Statuto ed era morto un tedesco. Il mattino dopo hanno fucilato in piazza dieci partigiani per quel tedesco, io avevo paura che tra questi ci fosse mio zio ma non avevo il coraggio di andare a vedere. Chiesi così ai partigiani che erano venuti giù da Casellette di controllare. Per fortuna mio zio non era tra i dieci fucilati. Un’altra volta hanno invece arrestato mio nonno a Casellette, lui abitava lì, avevano appena ucciso un tedesco e gli uomini, tra cui c’era mio zio, erano scappati in montagna perché sapevano che stavano arrivando i tedeschi. I tedeschi hanno visto ‘sto povero vecchio, che tra l’altro non aveva più l’avambraccio destro per una bomba, e l’hanno fatto salire sulla camionetta con il calcio del fucile e l’hanno portato alla caserma fascista di via Asti a Torino. Io sono stata avvisata in ufficio e sono andata di filato al comando fascista a Rivoli per sapere dove l’avevano portato. Ho parlato con il comandante, che me lo ha detto. Sono andata subito. Lì ho riconosciuto un ragazzo che faceva il doppio gioco, era un partigiano, mi ha fatto capire di reggere il gioco. Poi mi hanno fatta entrare in una stanza per l’interrogatorio, mi hanno anche controllato le borse. Quando mi hanno fatto vedere mio nonno, io ho detto ‘tenete me come ostaggio e non un povero vecchio’, e il fascista ‘be’, sarebbe bello tenere la signora in ostaggio qui, ci sarebbe da divertirci!’ Il ragazzo che faceva il doppio gioco quando io stavo uscendo mi ha fatto l’occhiolino e mi ha detto ‘stia tranquilla, glielo porto io a casa’ e così è stato. Della guerra mi ricordo anche i bombardamenti su Torino, andavamo negli infernotti, non erano serate piacevoli, si stava in tanti sotto terra. Non abbiamo mai patito la fame, c’era anche la borsa nera, ogni volta ogni tanto si riusciva a prendere del caffè, ma bisognava fare attenzione perché, quando si tostava, si sentiva l’odore. E poi ogni tanto si aveva del pane bianco. Tutto alla borsa nera, che era gestita da gente che si è fatta i quattrini. Noi abbiamo sempre mangiato perché io lavoravo. Per non subire i bombardamenti, io e mia mamma da Torino ci saremmo dovute trasferire a Casellette, i mobili li avevo già portati là. Ma quando i tedeschi hanno fatto la retata a Casellette, sono entrati in casa e hanno sfasciato tutto, il pezzo di mobile più grande era di 30 cm, così non siamo più potute andare.”
A concludere i ricordi pertinenti il periodo della guerra, Nena narra brevemente della liberazione e della sfilata a Torino. “La liberazione è stata un bel giorno, eravamo tutti contenti. Quando ci fu via libera perché i partigiani potessero scendere dalle montagne, i tedeschi stavano infatti scappando, la frase in codice trasmessa via radio era ‘Aldo dice 26 x 1’. Dopo che Torino fu liberata, ci fu la sfilata e mio marito partecipò come partigiano mutilato di guerra; sul camion dove era lui ad un certo puntò saltò su uno che stava con i fascisti e gli ha detto ‘chiel l’è propi me amis, ne’ e invece lo aveva sempre odiato. Mio marito gli ha sputato in faccia. Gli hanno dato una medaglia, su un lato c’è un’antenna, sull’altro la frase in codice ‘Aldo dice 26 x 1?. L’ho conservata e l’ho sempre portata quando mi hanno chiamata per le commemorazioni.”